Ogni albero ha bisogno delle sue radici, ogni costruzione della sua base, ogni tempio delle sue colonne. Anche la Chiesa ha un’origine concreta, impastata di cielo e di terra. Celebrare i Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno, significa ritornare all’inizio, quando Dio ha scelto di passare attraverso l’umanità concreta di due uomini, con le loro fragilità, le loro storie e i loro limiti.
Pietro e Paolo sono due volti diversi, due modi differenti di vivere la fede. Eppure entrambi sono stati scelti per essere fondamento della Chiesa. In loro contempliamo il mistero di un Dio che costruisce con le pietre scartate, che si affida a cuori imperfetti ma capaci di amare. In loro troviamo anche la nostra immagine: credenti in cammino, segnati da fatiche e da cadute, ma mai esclusi dalla possibilità di ricominciare. Il cammino di Pietro inizia nella stanchezza e nel fallimento: è un pescatore deluso, che rassetta le reti vuote dopo una notte infruttuosa. Ed è proprio lì, in quel vuoto, che Gesù entra e lo chiama. Pietro lo seguirà con entusiasmo e ingenuità, spesso fraintendendo, sbagliando, persino rinnegandolo. Eppure è proprio nel pianto dopo il tradimento che Pietro comincia davvero a vedere. Gesù, risorto, non lo giudica, non gli chiede spiegazioni: gli chiede solo se ama. E su quell’amore fragile ma sincero ricostruisce la sua vita. La storia di Paolo è radicalmente diversa. Non ha conosciuto il Gesù terreno, ma è stato abbattuto dalla luce sulla via di Damasco. Da persecutore diventa apostolo. La sua è la storia di chi cambia rotta, di chi si lascia sconvolgere dalla verità. È un uomo appassionato, deciso, non sempre facile da accogliere. Eppure la sua forza è proprio in questa energia trasformata: la grazia non cancella il carattere, lo orienta. Paolo ci insegna che la caduta non è sempre una sconfitta: può essere il luogo dove Dio ci incontra.
Né Pietro né Paolo hanno avuto un cammino semplice. Entrambi hanno affrontato il sospetto, la solitudine, il martirio. Entrambi hanno compreso, nel tempo, che non si annuncia il Vangelo per essere applauditi, ma per essere fedeli. E che spesso seminare non porta subito frutto, ma prepara la terra per le generazioni future.
Contemplare oggi la loro vita significa anche guardare dentro la nostra: nei nostri fallimenti, nei cambiamenti improvvisi, nelle cadute che ci sorprendono. Pietro e Paolo ci insegnano che Dio entra proprio lì, in quei vuoti, in quelle ferite. La santità non è perfezione, ma disponibilità. Non è assenza di errori, ma fedeltà al cammino.
In questi due grandi apostoli, che hanno versato il sangue a Roma, ci sono le fondamenta della nostra Chiesa. E in quei primi passi, traballanti e ardenti, riconosciamo anche i nostri. Perché se la Chiesa è arrivata fino a noi, è grazie a chi ha amato senza misura, a chi ha creduto anche quando sembrava impossibile, a chi ha speso la vita seminando speranza.
Antonella Sedda