Nella memoria liturgica di San Simplicio, patrono di Olbia e della diocesi di Tempio-Ampurias, i fedeli si sono ritrovati per la solenne celebrazione eucaristica nella Basilica a lui dedicata, a causa della pioggia caduta in città poco prima dell’inizio della liturgia. A presiedere la Messa per il secondo anno dalla sua nomina, è stato il Vescovo, Mons. Roberto Fornaciari, concelebrata dal parroco don Antonio Tamponi e dai sacerdoti della città e della diocesi.
«Diversi santi martiri patroni in Sardegna – ha ricordato il vescovo nel corso dell’omelia – come Gavino ed Efisio, hanno le loro origini fuori dall’Isola. È suggestivo pensare che anche il nostro Simplicio possa essere giunto via mare proprio a Olbia, portando con sé il Vangelo e offrendo la vita per la fede cristiana durante la persecuzione di Diocleziano». Un’origine che diventa simbolo e provocazione: quella di chi arriva da un altro mondo, e diventa dono.
È su questa riflessione che mons. Fornaciari ha sviluppato il cuore della sua omelia, dedicandola quest’anno al tema dell’accoglienza degli immigrati, anche alla luce del recente magistero della Chiesa. Ha citato in particolare Papa Francesco – recentemente scomparso – ricordando quanto scritto nell’esortazione Christus vivit: «Ma quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti».
«È vero – ha riconosciuto – che il fenomeno migratorio può generare problematiche, ma uno sguardo miope le attribuisce solo a chi arriva. In realtà, occorre essere capaci di cogliere i frutti positivi che possono nascere dall’incontro tra culture diverse». L’accoglienza, ha spiegato, non può essere solo questione di strutture tecniche, ma deve basarsi su una cultura profonda del dialogo, della curiosità, del desiderio di conoscere l’altro, superando la paura dell’ignoto spesso alimentata da pregiudizi.
Ampio spazio è stato dedicato all’enciclica Fratelli tutti, che mons. Fornaciari ha citato a più riprese. «Accogliere di cuore la persona diversa – ha sottolineato – permette di farla rimanere sé stessa, mentre le si offre la possibilità di un nuovo sviluppo. Questo è antidoto contro il rischio di una sclèrosi culturale». E ancora: «Non c’è vera apertura tra i popoli se non a partire dall’amore per la propria terra e per la propria cultura». Il vescovo ha evidenziato come solo chi è saldamente radicato nella propria identità può aprirsi realmente al dono dell’altro.
Nella parte centrale dell’omelia, è stato richiamato anche il Documento sulla fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi nel 2019 da Papa Francesco e dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, che evidenzia l’importanza del dialogo tra Oriente e Occidente: un rapporto di reciproca necessità che può contribuire a una crescita comune, superando malattie spirituali e divisioni culturali.
«La tensione tra locale e globale – ha osservato il vescovo – è una delle sfide del nostro tempo. Ma per armonizzarla serve una comunità salda, capace di educare alla convivenza in ambienti sempre più multiculturali e multireligiosi». In tal senso, ha ricordato che questa è ormai la realtà di molti quartieri di Olbia e dei paesi vicini, dove l’integrazione e la solidarietà devono diventare strumenti concreti di pace.
Senza nascondere le difficoltà, il vescovo ha ribadito che l’accoglienza non può essere solo frutto di calcoli o convenienze: «Esiste la gratuità – ha affermato – la capacità di fare il bene senza aspettarsi qualcosa in cambio. Ed è su questo principio che si fonda la nostra fede».
Uno sguardo è stato rivolto anche alla forma particolare di “migrazione temporanea” rappresentata dal turismo stagionale, fenomeno che porta ogni anno migliaia di persone sull’Isola. «Anche questo incontro, seppur breve, incide profondamente sulla società, soprattutto sulle giovani generazioni. Occorre vigilare, educare, preparare – ha ammonito – affinché non produca illusioni e ferite».
La parte conclusiva dell’omelia è stata interamente dedicata al significato profondo della festa di San Simplicio: «Celebrare un martire – ha detto il vescovo – vuol dire lasciarsi provocare dalla sua testimonianza, accogliere Cristo nella propria vita, ascoltare la Parola che agisce nel cuore. Quel seme, se trova un terreno fertile, è capace di rinascere e di dare speranza».
E così la figura del Patrono, giunto da lontano e capace di dare la vita per la comunità, diventa modello di fede e di amore gratuito. «San Simplicio – ha concluso mons. Fornaciari – ha donato se stesso per amore della Chiesa e degli uomini. La sua vita può essere racchiusa nel verso evangelico: “Se il chicco di grano muore, produce molto frutto”. E i frutti del suo martirio, anche oggi, continuano a vivere nella nostra Chiesa».
La celebrazione è stata animata dal coro Lorenzo Perosi guidato dal Maestro Maria Grazia Garau