Mer. Nov 19th, 2025

Fine vita tra sofferenza e dignità. Riflessioni sulla legge sarda sul suicidio assistito 

L’articolo è tratto da Scholè Spunti di riflessione dall’Istituto Euromediterraneo
La Regione Sardegna, con la legge n°26/2025 del 18 settembre dal titolo “Procedure e tempi per l’assistenza regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della Corte Costituzionale N° 242 del 2019”, è la seconda regione dopo la Toscana a regolamentare la pratica del suicidio assistito, garantendo, inoltre, l’assistenza sanitaria gratuita nelle strutture pubbliche a chi richiede il suicidio medicalmente assistito. Prima di entrare nel merito della legge è opportuno innanzi tutto chiarire un punto importante: nelle finalità e nelle implicazioni etiche e morali non esiste una differenza tra eutanasia e suicidio assistito (o medicalmente assistito come è definito dalla legge regionale). L’eutanasia, infatti, nell’accezione odierna e da ciò che si evince dalle leggi che ne regolamentano l’attuazione (ad es. la legge olandese), è un atto che permette di passare al sonno e, dal sonno, alla morte ed è giustificato da una richiesta cosciente, reiterata, motivata da una sofferenza ritenuta intollerabile e senza speranza, derivante da una malattia in fase avanzata e senza possibilità di cura. Si tratta quindi di un omicidio su richiesta del malato: dare la morte per pietà, allo scopo di mettere fine alla sofferenza ed alla perdita di dignità causata dal procedere della malattia. La legge degli stati dove è praticata l’eutanasia (ad es. Olanda e Belgio) di fatto non autorizzano l’eutanasia in tutti i casi, ma la depenalizzano purché siano rispettate e provate le motivazioni che la giustificano: chi la pratica dunque solo in quei casi non può essere perseguito per omicidio. Il suicidio assistito differisce dalla eutanasia solo per la modalità di attuazione: i farmaci vengono preparati e predisposti per la somministrazione da altri (che fungono da aiutanti), ma vengono autosomministrati in sequenza dal malato stesso. L’aiuto al suicidio è un reato come l’omicidio ma in determinate condizioni stabilite per legge viene depenalizzato. Per questo motivo sia l’eutanasia che il suicidio assistito devono essere autorizzati da una autorità pubblica garante.Infatti, la pronuncia della Consulta N°242 del 2019 pone 4 condizioni perché il suicidio assistito possa essere autorizzato: la presenza di una patologia irreversibile (ovvero non guaribile ed in continuo peggioramento);la dipendenza da supporti vitali (ad es. ventilazione polmonare);la presenza di una sofferenza insopportabile per la persona;la certificata autonomia di decisione e la consapevolezza di chi ne fa richiesta.Sulla base di questa sentenza sono già state effettuate anche in Italia diverse procedure di suicidio assistito, dopo un iter giudiziario molto lungo e complesso. In assenza di una legge nazionale, sollecitata dalla Consulta stessa, prima la Regione Toscana e il mese scorso la regione Sardegna hanno promulgato una legge regionale per regolamentare e quindi rendere possibile sul territorio regionale la pratica del suicidio assistito. La legge Toscana è stata impugnata dal Governo in quanto la materia è ritenuta non di competenza regionale e stessa cosa è possibile accada alla legge sarda, perché tratta di una materia che non rientrerebbe nelle competenze regionali anche in presenza dell’autonomia di cui gode la Regione Sardegna come regione a statuto speciale.La legge n 26/2025 della regione Sardegna ricalca quelle che sono le direttive della Consulta:  alle persone affette da patologie irreversibili, dipendenti da supporto vitale, autonome e consapevoli nella decisione, che facciano richiesta di assistenza per poter porre fine alla propria vita, è garantita l’assistenza gratuita da parte del Sistema Sanitario Regionale  dopo un’attenta valutazione da parte di una Commissione Regionale di esperti (tra cui medici, bioeticisti, giuristi) centralizzata.  I membri della Commissione dovranno verificare la presenza contemporanea di tutte e quattro le condizioni necessarie per ottenere l’autorizzazione. La legge regionale è stata approvata con voti trasversali tra i vari schieramenti politici: ci sono stati voti contrari tra i membri dei partiti di maggioranza proponenti la legge e voti favorevoli tra i membri dell’opposizione, a dimostrazione che si tocca una problematica complessa che coinvolge profondamente le scelte etiche dei singoli. Suscita perplessità che una delle quattro condizioni richieste, ad esempio la presenza di una sofferenza insopportabile, non sia oggettivamente verificabile: solo il malato può raccontare la propria sofferenza. Si è anche molto discusso sull’opportunità del coinvolgimento del sistema sanitario nazionale che darebbe l’aiuto logistico e fornirebbe gratuitamente i farmaci: non per valutazioni economiche (impatto minimo) ma perché il Sistema Sanitario Pubblico ha lo scopo principale di dare salute e curare la malattia mentre è difficile far rientrare l’assistenza al suicidio in un processo di servizio per la salute. Per alcuni l’introduzione di una normativa che regolamenti il suicidio assistito equivale ad una introduzione strisciante dell’eutanasia.Detto questo, dietro ogni richiesta di porre fine alla propria vita c’è sempre una sofferenza che merita attenzione e rispetto. Spesso, come nel caso dell’eutanasia, è una richiesta di aiuto e bisogna impegnarsi a dare una risposta concreta e coerente a questa richiesta: il suicidio, come l’eutanasia, è una certificazione di fallimento davanti al quale l’unica prospettiva è quella di anticipare la morte.In questo contesto è importante il commento unitario dei Vescovi Sardi pubblicato alcuni giorni dopo l’approvazione della legge: premesso “non è accettabile aiutare un malato a morire”, i Vescovi sottolineano l’importanza dell’accompagnamento della persona malata ma anche della sua famiglia, coinvolta anch’essa nella malattia e perciò essa stessa bisognosa d’aiuto. I Vescovi fanno riferimento alla recente approvazione del potenziamento della rete regionale di cure palliative (il 5 settembre 2025 la Regione Sardegna ha approvato “il piano regionale di potenziamento della rete regionale delle cure palliative”) come una delle strade da percorrere per dare dignità e non smarrire l’umanità, ribadendo la contrarietà ad ogni forma di insistenza terapeutica inutile. Presentata come la soluzione alla sofferenza e la garante della libertà dell’individuo e della sua dignità, l’approvazione di questa legge ci deve interrogare tutti. La malattia vissuta in solitudine, il sentirsi privi di valore se emarginati dal ciclo produttivo, sono frutti malati di un concetto sbagliato di dignità. La dignità della persona non è mai diminuita ma è sempre assoluta ed infinita (Dignitas infinita): per il credente in quanto la vita è dono di Dio e la persona ne è la più alta espressione, per il non credente perché integrata nella stessa umanità. Ma le strutture sanitarie, le famiglie, le comunità parrocchiali ed il volontariato devono lavorare insieme: in fase avanzata di malattia o nella malattia cronica invalidante la medicina può fare poco se non si crea intorno al malato un ambiente di solidarietà che lo metta al centro della vita della comunità. Io ritengo che sia necessario lasciare una linea aperta di confronto tra tutte le posizioni: molte persone soffrono più per la loro situazione contingente che per la malattia in sé: scopo di tutti gli interventi dovrebbe essere sempre aiutare a vivere, sia perché ogni uomo è vivente fino alla morte (non si può trattarlo come assente quando è ancora vivo), sia perché dobbiamo testimoniare un Dio amante della vita che si è fatto vicino a chi soffre.
Franco Pala

By G&A

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