A cento anni dalla fondazione della Congregazione Missionaria delle Figlie di Gesù Crocifisso da parte del prete diocesano Salvatore Vico, della Chiesa di Ampurias e Tempio, voglio dire su questo sacerdote Servo di Dio alcune cose solitamente prese in poca considerazione. Un merito che gli viene scarsamente riconosciuto è quello di aver operato in continuità e per l’espansione della tradizione evangelizzatrice della diocesi, in particolare nel mondo agropastorale della Gallura.
L’evangelizzazione dei pastori-agricoltori della Gallura risale a tempi lontani, molto precedenti l’anno 1924 nel quale don Vico ricevette “l’ispirazione” di Aratena. Risale almeno ai tempi dello spopolamento di questa sub-Regione, grosso modo tra il 1200 e il 1500. In quel lungo periodo scomparvero tutti i numerosissimi villaggi della media e basa Gallura, i cui abitanti residui si trasferirono nell’alta Gallura, che in tal modo incrementò la sua popolazione nelle uniche sei parrocchie e centri abitati galluresi sopravvissuti: Tempio, Aggius, Calangianus, Luras, Nuchis, Bortigiadas.
La media e bassa Gallura spopolata divenne territorio utilizzato dagli abitanti di quei sei paesi che se lo divisero e lo sfruttarono economicamente, trasferendovi per un certo periodo dell’anno le famiglie dei pastori-contadini che, in mancanza di case, abitarono in “tentoriis”, ripari sotto roccia (le conche murate) e nelle pinnette. Solo alla fine del 1600 si cominciò a costruire qualche casa (stazzi) e ad iniziare una stanzialità stabile. In quei secoli di transumanza, i pastori-contadini non furono privati dell’assistenza religiosa, specialmente dopo l’unione delle diocesi di Civita – Terranova-Olbia – Tempio a quella di Ampurias (1505) e segnatamente dopo il Concilio di Trento. Ricevevano l’istruzione religiosa nei loro sei paesi d’origine durante i mesi dell’anno in cui vi sostavano, e poi anche nelle campagne nei mesi di transumanza. I vescovi, infatti, mandavano sacerdoti a condividere le vite disagiate delle famiglie dei pastori-contadini nelle impervie e semispopolate campagne della Gallura. Questa dei sacerdoti che accompagnavano le famiglie dei pastori-contadini in transumanza fu una proficua iniziativa pastorale della Gallura, unica in tutta l’isola. Di questa difficile antica religiosità delle famiglie pastorali galluresi rimangono molte tracce. Testimonianze concrete ed evidenti di questa religiosità sono le centodiciannove chiese campestri, regolarmente censite, sparse in tutto il territorio della Gallura. Esse furono costruite dai pastori-contadini tra il 1600 e il 1700, molto spesso su rovine di quelle di età giudicale, che risalivano quindi al periodo precedente lo spopolamento. Ma la diocesi di Ampurias e Civita-Terranova si distinse all’epoca, in Sardegna, anche per altre iniziative che incrementarono la religiosità delle popolazioni dell’Anglona e della Gallura. Fu quella di Ampurias – Civita la prima diocesi sarda che attuò il Concilio di Trento riguardo alla celebrazione dei Sinodi. Per lungo tempo si celebrarono tutti gli anni (anzi, due all’anno, prima a Castel Sardo, sede della diocesi, poi a Tempio per la Gallura). La loro frequenza diminuì nel tempo, ma essi proseguirono, compreso il Sinodo di Monsignor Guiso del 1777 che fece testo, una volta pubblicato, nel resto dell’isola e con qualche eco continente italiano.
Fondamentali furono anche le famosissime celebrazioni delle paci tra fazioni avverse e tra popolazioni, che, iniziate nella nostra diocesi, si moltiplicarono fino al primo quarto del 1900 più che in qualunque altra diocesi dell’isola. Pian piano arrivarono le parrocchie rurali, le prime quattro delle quali, come le altre in seguito, erette in aperta campagna alla fine del 1700: San Francesco d’Aglientu, San Pasquale, Santa Maria di Arzachena, San Teodoro di Oviddè. I paesi, fino ad allora inesistenti, si formarono dopo le parrocchie intorno alle chiese.
Dunque, nel 1924 le campagne galluresi non erano scritianizzate: c’era un cristianesimo precario, ma c’era, per opera della chiesa diocesana che non ha mai trascurato, soprattutto dopo il Concilio di Trento, la cura pastorale dei fedeli dispersi nelle lande semispopolate della Gallura, come Aratena che tanto impressionò il giovane ardente di fede don Salvatore Vico. Il grande merito di questo sacerdote è stato quello di innestare la sua azione religiosa a favore dei pastori-contadini in quella preesistente della diocesi. Da lì è partita la sua grande opera che si è estesa da Aratena alla Sardegna e al mondo. E questo grazie alla lettura profetica dei segni dei tempi fatta dal fondatore delle suore figlie di Gesù Crocifisso: la necessità di dare maggiore impulso all’opera evangelizzatrice della Chiesa negli stazzi della Gallura. Se i pastori galluresi, al tempo degl’intuizione di Aratena fossero stati scristianizzati, come qualcuno sostiene, come avrebbe fatto don Vico, in quella sera e notte ad Aratena, a confessare uomini ininterrottamente dalle quattro del pomeriggio fino alle undici o mezzanotte? Se, in una landa tanto deserta, gli uomini erano così numerosi a confessarsi vuol dire che erano evangelizzati. Ma poco, troppo poco. Ed ecco allora che don Vico, spinto dallo Spirito, arricchisce la Chiesa con questa nuova Congregazione Missionaria inserita nella tradizione diocesana.
L’altro segno dei tempi avvertito da don Vico fu quello della santificazione del clero, per la cui causa le suore offrono a Dio sé stesse, la propria vita. La diocesi di Ampurias e Tempio non aveva un cattivo clero nel primo quarto di secolo del 1900, aveva un buon clero, con non poche figure di eccellenza che si potrebbero anche nominare, ma non qui ora. La lettura dei segni dei tempi, per la quale l’immolazione delle suore di Gesù Crocifisso a favore della santificazione dei sacerdoti fa parte del loro carisma deriva, nell’immediato, dall’esperienza personale di don Vico. Egli, come quasi tutti i fondatori di ordini religiosi e come gli autentici profeti della missione evangelizzatrice della Chiesa, ha trovato da parte di un piccolo numero di confratelli ostacoli e ostilità. Normale. Ottima è stata la sua risposta nel proporre alle sue suore la speciale offerta di sé stesse per la santità dei sacerdoti.
Grazie don Salvatore Vico che dopo cento anni tieni ancora vivo questo amore straordinario per la Chiesa che, come anche noi, ti ha generato a un sacerdozio santo. Perché tu sei santo. Don Salvator Vico, dunque, non è stato un fiore cresciuto nel deserto, semmai un fiore autoctono, magari il più bello, tra quelli che contribuiscono a rendere unica la nostra terra e incantano chi la conosce.
Antonio Addis
